di Niccolò Amadori | Come un paziente artigiano che affina le proprie abilità, Takuma Watanabe si è costruito nel tempo una professionalità unica, che lo ha portato a essere tra i nomi più noti del bartending internazionale.
Originario di Tokyo, ha iniziato a lavorare nel settore dell’ospitalità a 18 anni, come barista. Ha appreso i segreti del mestiere al Code Name Mixology, nella sua città natale, seguendo gli insegnamenti di Shuzo Nagumo.
La svolta, però, è arrivata quando si è trasferito a New York. Qui, ora, dirige il Martiny’s, L’Americana e il Midnight Blue.
Partiamo dalle origini: che cosa ti ha fatto innamorare del tuo lavoro?
Ho cominciato a 18 anni a lavorare in un caffè con format Italo-Giapponese, Mouri Salvatore in Roppongi Hills, a Tokyo, non potendo né bere né servire alcolici fino a vent’anni.
Cominciai facendo cappuccini, masterizzando la Latte Art, che non è affatto facile, perché trovare una crema ben fatta con un disegno basico come il cuore è forse più difficile che bere un buon Martini.
Quando vedevo che i clienti tornavano spesso dove lavoravo per gustare i miei cappuccini ed erano felici, ero anch’io soddisfatto! È questa sensazione che tuttora mi spinge a perseguire l’eccellenza nel mio lavoro: rendere felici le persone.
Angel’s Share ha lasciato un’impronta forte nella scena della miscelazione mondiale. Perché hai deciso di trasferirti proprio a New York in quel locale? Che cosa ti porti dietro da quella esperienza e, soprattutto, dal tuo mentore Shingo Gokan?
Avevo 28 anni quando decisi di trasferirmi negli Stati Uniti. Presi questa decisione dopo aver partecipato a una serie di competition in Giappone. In quel periodo conobbi Shingo Gokan, che ricopriva il ruolo di Bar Manager all’Angel’s Share.
Volli subito lavorare con lui e mi rispose solamente di comprare il biglietto per andare a New York. Partii senza sapere nulla di quella città.
L’Angel’s tuttora per me significa famiglia: lì ho imparato a conoscere gli usi e costumi della Grande Mela e grazie a quell’esperienza mi sono inserito nella industry locale. Venivo da una cultura diversa: in Giappone i cocktail bar sono molto piccoli, il servizio è lento ma estremamente preciso e nei bar viene insegnato come arrivare alla lavorazione perfetta dei cocktail.
A New York ho imparato il concetto di velocità: Angel’s era uno speakeasy con 60 posti a sedere ed era fondamentale essere veloci e precisi a ogni comanda. Shingo mi ha insegnato non solo come sopravvivere in città, ma mi ha tramandato il suo modo di pensare, creare e combinare ingredienti e colori durante lo studio di un menù.
Il tuo stile si basa, soprattutto, sulla precisione: la perfezione di servizio e di gesto tecnico è un tratto distintivo tuo o proprio della cultura giapponese?
Direi che è assolutamente una caratteristica giapponese. Ed è ciò che mi spinse ad aprire Martiny’s. Nonostante Angel’s Share avesse una forte influenza del Giappone, volevo esprimere ancora di più quello che nel mio Paese viene trasmesso al cliente: il rateo perfetto nel drink, il servizio attento, l’atmosfera giusta e i posti limitati.
Quando ti siedi da noi, come in Giappone, ti viene portato un tovagliolo di stoffa caldo e profumato e i drink sono sempre perfetti, non importa chi ci sia dietro al bancone. Se il cocktail non è perfetto, di temperatura, guarnizione, diluizione, texture, non può essere servito.
Qual è la cosa più difficile da trasmettere ai tuoi team di lavoro?
Credo sia la mentalità. Molti pensano di essere arrivati solo perché lavorano da tanto tempo nel settore e magari hanno anche esperienze importanti alle spalle, ma non è così, bisogna sempre rimanere umili e pazientare; molti hanno troppa fretta di arrivare a miscelare dietro banco.
Ci vuole tempo per imparare come stare all’interno dei miei bar, la gavetta non viene saltata. Poi la difficoltà dipende anche da chi ho davanti: la velocità di apprendimento cambia da persona a persona.
Da dove prendi ispirazione per i tuoi menù? Come sviluppi le ricette?
Ultimamente ho la fortuna di viaggiare in tutto il mondo. Inoltre, sono una persona molto creativa e mi piace prendere ispirazione dai viaggi che faccio, da ciò che mangio e dalle persone che incontro, soprattutto cuochi e pasticceri. Un cocktail deve basarsi su un concetto ed essere versatile, adattabile all’evenienza e al posto in cui mi trovo, cambiando qualche ingrediente.
Dopo tutti i successi che hai raggiunto, quale elemento, del tuo mestiere, continua a illuminarti gli occhi?
In questo momento, mi dà grande stimolo il fatto di poter mostrare al mondo le mie abilità, ma, in generale, sono una persona molto semplice, che vuole solo creare cocktail! Voglio creare drink che, come ho detto all’inizio, possono rendere le persone felici e soddisfatte.
L’obiettivo, in tutti i miei cocktail bar, è sempre lo stesso: il cliente deve uscire un po’ più felice di come è entrato.
Chi è Takuma Watanabe
Nato a Tokyo nel 1984, inizia giovanissimo a lavorare nel settore dell’ospitalità. A 28 anni si trasferisce a New York su invito di Shingo Gokan, ex manager di Angel’s Share, proprietario dell’SG Club di Tokyo e dello SpeakLow di Shanghai. Proprio all’Angel’s Share lavora come barista, per poi diventarne manager. Nel 2022 diventa socio del Martiny’s, pluripremiato locale di Manhattan. Nel 2024 inaugura, proprio vicino al Martiny’s, L’Americana, un bar e bistrot di ispirazione italiana, e il Midnight Blue, un jazz bar nella zona di Gramercy, quartiere residenziale di New York. Nel 2024 ha vinto il premio Bartender dell’Anno agli Spirits Business Awards e il premio Best Bartender del Nord America agli Shaker Awards. È stato anche semifinalista ai James Beard Awards 2025 come Miglior Professionista nel Servizio Cocktail.
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