Qualcosa, evidentemente, è andato storto!

di Roy Batty |  Si parla tanto di crisi dei cocktail bar oggi e non si riesce praticamente a credere a una flessione negativa così importante del mercato. Anche perché il bere miscelato non si è mai trovato in grande difficoltà, a parte la parentesi delle chiusure forzate del periodo Covid.

Il cocktail ha perso appeal e si ritiene che le ragioni siano quasi esclusivamente di tipo economico e sociale.

Ma siamo sicuri che il minor interesse per il cocktail in genere sia dovuto principalmente a portafogli meno gonfi e al fatto che le persone escono meno da casa?

Da quindici anni a questa parte, la miscelazione in questo Paese ha fatto passi da gigante, soprattutto in termini di qualità, di attenzione al prodotto e alle tecniche e di fidelizzazione del cliente. Eppure, girando per l’Italia oggi si scopre un calo enorme della qualità nei cocktail, che sembrano invece privilegiare l’esercizio di stile.

È facile, infatti, imbattersi in drink list nelle quali i cocktail sono una semplice esasperazione di tecnica, spesso anche poco riuscita. Ci si trova davanti a drink con ingredienti incomprensibili e in quantità eccessiva, che sanno di qualcosa di indefinito, il più delle volte dolci e stucchevoli, ben lontani dal concetto di qualità e vicinissimi, invece, a seguire tendenze o mode che passano rapidamente.

In questo modo, prospera una miscelazione che non ha nulla di speciale, sebbene si fregi di essere gastronomica o di donare al cliente la famosa “esperienza”.

Ci ritroviamo, quindi, nuovamente, a relegare in un angolo i classici con la loro perfetta semplicità, a banalizzare il twist on classic per favorire esercizi di stile che nobilitano l’imbevibile, composizioni di syrup di qualsiasi genere, preparazioni astruse, che dovrebbero sapere di qualcosa e in realtà sanno di tutt’altro.

E ci ritroviamo anche di fronte all’ipocrisia della semplicità: utilizziamo bicchieri semplici e puliti, rigorosamente nella versione alta o bassa, tutti con il loro cube o stick di ghiaccio cristallino e senza garnish, ma il cocktail è poi un’accozzaglia di sapori, dal salato al dolce, un mix senza nessun senso.

Il giovane bartender oggi non conosce il classico, il più delle volte lo ritiene quasi noioso, ma conosce le tecniche moderne, dalla più astrusa alla più inutile e ci tiene a usarle tutte, in un unico bicchiere.

Davvero non ci si rende conto che questi cocktail possono stupire solo, e nemmeno sempre, al primo sorso, per poi diventare stucchevoli e, semplicemente, non buoni?

Quale sarebbe il vantaggio di bere un cocktail che sa di sangria, pur non essendo una sangria o di sorseggiare un cocktail che sa di matriciana?

Si è fatto così tanto per rivoluzionare e nobilitare un settore ed eccoci qua a vederlo naufragare su virtuosismi di cui a nessuno importa.

Fortunatamente ci sono ancora un centinaio di locali che, invece, fanno un lavoro stupendo e hanno coscienza del classico e del valore della tecnica, che non va utilizzata a caso.

Occorre ritornare alla semplicità, alla chiarezza, a una miscelazione buona e gradevole, in grado di stupire un po’ meno e di piacere un po’ di più. Le mode passano, come le stagioni, e la stagione dello stupore e dell’esperienza forzata si spera sia giunta al termine.

Qualcosa è andato evidentemente storto, ma la storia ci insegna che quando le cose non girano più è ora di cambiare strada, di tornare alla qualità, di guardare oltre e comprendere che, evidentemente, il pubblico vuole qualcos’altro.


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