Lavoro all’estero: come gestire le esperienze oltre confine

di Matteo Bodei | In un settore come quello dei pubblici esercizi, caratterizzato dalla costante interazione con persone di culture, lingue e abitudini diverse, l’aver vissuto esperienze di lavoro all’estero rappresenta un importante valore aggiunto.

Aver lavorato o, comunque, l’aver trascorso periodi significativi in Paesi diversi dal proprio, infatti, consente di arricchire non solo il curriculum professionale, ma anche la propria visione del mondo e le capacità interpersonali, qualità fondamentali in un ambito così dinamico e vario.

Un primo beneficio evidente è il miglioramento delle competenze linguistiche, dato che vivere e lavorare in un contesto internazionale permette di apprendere o perfezionare una lingua straniera direttamente sul campo, acquisendo non solo una grammatica corretta e uno stile espressivo naturale, ma anche le sfumature culturali e contestuali della comunicazione.

Questo aspetto si riflette positivamente nell’accoglienza degli ospiti, rendendo il servizio più personalizzato e attraente. Inoltre, esperienze oltre confine possono rafforzare l’attitudine all’adattamento e alla flessibilità: vivere all’estero insegna a gestire cambiamenti imprevisti, a lavorare in team multiculturali e a comprendere diverse prospettive, capacità essenziali per affrontare adeguatamente le richieste di una clientela internazionale sempre più esigente e diversificata, in situazioni nelle quali la qualità del servizio è spesso determinata dalla capacità di anticipare le aspettative degli ospiti.

Inoltre, esperienze professionali internazionali offrono l’opportunità di apprendere pratiche manageriali e organizzative innovative, acquisire familiarità con le tecnologie più avanzate, imparare strategie di marketing mirate al target estero e metodi di gestione delle risorse umane più inclusivi ed efficaci.

Le esperienze estere, quindi, consentono di sviluppare un set di competenze che vanno ben oltre il semplice sapere tecnico, abbracciando capacità linguistiche, adattabilità, consapevolezza culturale e un approccio più aperto e dinamico al lavoro. In un settore che si nutre di connessioni umane e diversità, queste esperienze contribuiscono anche ad elevare la qualità del servizio e il successo del nostro locale. Quindi, offrire ai propri dipendenti la possibilità di svolgere un’esperienza all’estero può rappresentare un’importante leva strategica di crescita e di sviluppo. Ma quali strumenti legali ci consentono di gestire tali esperienze assicurando al contempo la conformità alle normative vigenti e la tutela dei diritti dei lavoratori?

Gli strumenti legali che consentono di facilitare tali esperienze sono diversi e la scelta della strategia migliore dipende da diversi fattori: durata, scopo, esistenza di una partnership tra la struttura italiana e quella estera di destinazione e, questione importante, se l’esigenza è sentita solo da una parte o se è condivisa.

La trasferta

Per missioni organizzate dal datore di lavoro oltre confine, relativamente brevi, ossia di alcuni giorni o settimane, lo strumento più adatto è certamente la trasferta. Una trasferta lavorativa è infatti un viaggio temporaneo che un dipendente compie per svolgere attività professionali fuori dalla sede abituale di lavoro. Durante la trasferta, il dipendente può partecipare a riunioni, conferenze, fiere, corsi di formazione professionale, oppure eseguire compiti specifici presso altre filiali o clienti. Le spese di viaggio, alloggio e pasti sono generalmente coperte dal datore di lavoro, in base alle politiche interne. Questo tipo di esperienza può arricchire le competenze del dipendente e favorire lo scambio di conoscenze e pratiche tra diverse realtà lavorative.

Il distacco internazionale

Uno degli strumenti più utilizzati per inviare i dipendenti all’estero per un periodo di tempo determinato anche lungo, presso strutture con cui il datore di lavoro ha stabilito una partnership, è il distacco internazionale. Questo strumento prevede che il dipendente mantenga il proprio contratto di lavoro con l’impresa di origine, ma svolga temporaneamente le proprie mansioni presso un’altra impresa estera su cui ricade la responsabilità per la sicurezza del lavoro. Durante il periodo di distacco, il dipendente continua a ricevere lo stipendio e i benefici previsti dal contratto originale. Per operare nella legalità è essenziale che le imprese coinvolte redigano un accordo di distacco che definisca chiaramente il motivo di tale scelta, la durata, le condizioni di lavoro, il contributo economico che la struttura estera riserverà all’impresa italiana per il lavoro svolto dal lavoratore distaccato (per legge un importo al massimo pari al costo mensile del dipendente).

L’aspettativa

Ci sono anche casi in cui la richiesta di arricchire il proprio bagaglio professionale con una esperienza internazionale proviene dal dipendente. In queste situazioni, se si volesse quindi sospendere o interrompere il rapporto di lavoro, si può optare per una soluzione temporanea, detta aspettativa o congedo non retribuito, o per una soluzione definitiva, quale la cessazione del contratto vigente e l’instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro presso l’impresa estera. Nel dettaglio, l’aspettativa è un’opzione che consente ai dipendenti di interrompere il rapporto lavoro per un periodo di tempo determinato, senza percepire stipendio. Durante il congedo, il dipendente può dedicarsi liberamente a esperienze di vita personale all’estero, come corsi di formazione, volontariato o progetti personali. Questo strumento richiede l’approvazione dell’azienda e la stipula di un accordo che definisca la durata del congedo e le condizioni per il ritorno al lavoro. Sebbene durante l’aspettativa si sospenda la relazione economico giuridica che lega le parti, il datore di lavoro deve comunque garantire il mantenimento del posto di lavoro e le stesse condizioni contrattuali al termine del congedo pattuito.

Se la scelta è definitiva (o quasi)

Se invece la scelta del lavoratore dovesse essere definitiva, rimane quale ultima opzione la cessazione del rapporto di lavoro e l’espatrio del dipendente a tempo indeterminato. Questo implica la risoluzione consensuale o per dimissioni del contratto di lavoro italiano e in seguito la stipula di un nuovo contratto di lavoro con l’impresa estera, adattato alle normative locali. In questo caso, è importante assicurarsi che il dipendente sia stato informato dal nuovo datore di lavoro delle differenze normative, fiscali e previdenziali tra i due Paesi, così da compiere una valutazione consapevole data l’irrevocabilità della scelta.

Al fine di non chiudere le porte definitivamente alla possibilità futura di un rientro, si consiglia di non ostacolare tale scelta del lavoratore, ma anzi di fornire un pieno supporto. Non sono infatti infrequenti dei “ritorni di fiamma” professionali di persone che, dopo una esperienza all’estero estremamente interessante e formativa, decidono di tornare al loro Paese di origine per riavvicinarsi alla famiglia e alle amicizie e perché no, riallacciare i rapporti con il datore di lavoro di un tempo, verso il quale permane un ricordo positivo in virtù di una relazione professionale fondata sul rispetto e sulla comprensione reciproca.


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